Sarà capitato a ognuno di voi, miei giovani lettori, di fare un lungo viaggio in uno di quei periodi dell'anno in cui le genti italiche migrano verso i paesi di origine, quindi sapete bene quanto sia difficile spostarsi in quelle circostanze.
I treni somigliano incredibilmente a vagoni per il trasporto bestiame e lo spazio vitale destinato all'umano viandante diminuisce fino al lumicino. Capita quindi, di trovarsi troppo, troppo, troppo vicino alla famigliola che consuma panini farciti con frittata, ai bambini che cantano a squarciagola i jingle della pubblicità in voga, o più semplicemente alle gambe del tizio che vi siede di fronte e che crede di trovarsi su una sdraio di Riccione.
Ma cosa accade se una di queste transumanse migratorie avviene nei giorni di picco dell'influenza stagionale?
Dopo quello che ho visto nel mio ultimo viaggio, ho capito perché un ceppo di tale malattia virale viene chiamato suina: perché è capace di mutare gli esseri umani in maiali, ecco perché. Un po' come la Circe, ma con molta meno classe. Ma vediamo come sono andati i fatti, miei giovani lettori.
La cronaca
Me ne tornavo da un accogliente paesino della Puglia, salii sul treno intorno all'ora di pranzo e come se una silenziosa campanella avesse suonato ad annunciare l'inizio delle libagioni, la gran parte dei passeggeri aveva estratto dalla capienti sacche, ogni tipo di alimento. Non sembrava più un vagone, ma una trattoria. "Una margherita al 18!" Mancavano solo i camerieri.
Comunque mi feci strada fino al posto prenotato scoprendo con sorpresa che il sedile accanto al mio era incredibilmente libero. L'anno nuovo iniziava davvero alla grande, così accesi il mio micro pc, convinto che le numerose ore di viaggio mi avrebbero ispirato memorabili pagine di sceneggiatura.
Fu allora che lo vidi.
Veniva verso di me. Procedeva nel corridoio ondeggiando.
L'occhio vitreo, saggiamente nascosto dai Ray-Ban, lo immaginai vuoto, spento. In un primo momento non capii che ormai era solo un contenitore. Il giovane ospite della "creatura".
Mi chiese se il posto accanto al mio fosse libero. Bestemmiai tra me e me, poi, con il sorriso più falso del pianeta, gli feci spazio per accomodarsi.
Era alto. Una specie di zombie cestista inquieto. Si muoveva senza tregua, ansimava, sgomitava, stendeva gli arti inferiori compulsivamente. Grugniva. Un cafone rompicoglioni che mi piantava continuamente il gomito nel fegato.
Solo un vicino fastidioso?
No, c'era di peggio e lo avrei scoperto ben presto.
Fu dopo un'oretta di viaggio che ebbi i primi sospetti di quello che era veramente. Successe quando l'occhiale da sole si abbassò a scoprire un occhio bovino rosso e umido. Sofferente.
Lo zombie gigante ricevette una telefonata alla quale rispose con un filo di voce flebile.
Ne registrai solo poche frasi, tra le quali c'era quella che mi scoperchiò il vaso di Pandora:
"Sì, ho ancora la febbre".
Un untore.
Un maledettissimo untore mi stava respirando vicino. E visto che non si trovava in un'altra provincia era dannatamente troppo vicino.
Restava il dubbio: di che tipo di germe era vettore? Raffreddore? Vaiolo? Sars? Ebola? Peste tibetana?
Non lo potevo sapere e mentre la creatura mi ansimava accanto, non riuscivo a smettere di pensare al flaconcino di gel disinfettante che tenevo nella valigia. Avessi potuto glielo avrei fatto ingerire. Tutto. Senza aprirlo.
No, non è che sono ipocondriaco... E' che ci tengo solo alla salute. Chi mi conosce sa anche che mi prodigo in consigli degni di un erborista. Ok, ok, d'accordo... sono anche ipocondriaco. Non si può essere perfetti.
Ma torniamo ai fatti.
Il non(per ora)morto ricevette una nuova telefonata.
Allungai l'orecchio, avido di conoscere maggiori dettagli sullo stato di salute dell'appestato. E la risposta arrivò, in tutta la sua drammatica semplicità, racchiusa in un nome di sette lettere che mi prospettava un futuro estremanente doloroso.
Il padre della creatura, dall'altro capo del telefono chiedeva apprensivo:
" L'hai preso l'IMODIUM?"
Una immagine proveniente dal prossimo futuro si fece largo nella mia mente. Mi vidi seduto su un trono fatto di ceramica e firmato Richard Ginori, dolorante e impegnato a bestemmiare contro lo sconosciuto che mi aveva appestato.
"Imodium, Lopemid, Dissenten. La loperamide, commercialmente disponibile come cloridrato, è un farmaco con spiccata attività antidiarroica, in particolar modo si tratta di un antipropulsivo."
Aveva la SCAGAZZA.
Era un portatore malato di strizzoni intestinali.
Una loffa perpetua al color di cioccolato.
Dopo quattro interminabili ore, il focolaio batterico umano, scese dal treno, rilassato, lasciandomi con il volto terreo e la nausea, mentre tutti intorno a me tossivano e starnutivano.
Se questo sarà il mio ultimo post, sappiate che vi ho voluto bene, ma solo a quelli non infetti, però.
Wow, questa "é" una memorabile pagina di sceneggiatura!
RispondiEliminaBellissima.
povero Giuseppe... sarà stato un viaggio interminabile... spero che sia tutto ok
RispondiElimina@__@"
RispondiEliminahai per caso visto CONTAGION e ne sei rimasto... "influenzato"?
(gioco di parole non voluto ma tanto piaciuto ;-D)
Intanto ho già mal di gola... -_-
RispondiEliminaHai la capacità di rendere fantastico anche un racconto simile. XD
RispondiEliminaTi servirebbe il travel kit dell'amuchina. Utilissimo in questi casi: avresti potuto stordirlo in un attimo con lo spray disinfettante e, ad opera fatta, l'avresti buttato giù dal finestrino, dopo averlo impacchettato con le garze (un piano "alla Diabolik")...
Pensiamo a quante persone ha già infettato ora, la fine del mondo si avvicina... é_è