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venerdì 23 marzo 2012

Caccia alle streghe.

E il piccolo borgo di Fumettoville insorse.
Uscirono dalle loro tetre magioni con la fiaccola in mano, ben alta, per rischiarare la buia notte della crisi dell'editoria.
Un paio di energumeni trascinavano la povera Clementina che aveva il volto insozzato dagli sputi e le ossa rotte.
Gli irreprensibili compaesani la portarono nella piazza del paese. Una piazza virtuale, ma sporca all'inverosimile. Una piazza dove gli abitanti di quel luogo andavano per vomitare le loro invidie, gelosie, le frustrazioni. L'unico luogo che le loro piccole gambette secche, non abituate al movimento, gli permettevano di raggiungere. Dal tavolo di lavoro alla piazza virtuale il passo era breve. E si poteva dire di tutto, perché nella piazza era garantita l'incolumità. Non come un tempo che si passava dalla insinuazioni alle mani in meno di un secondo.
Bei tempi.
“Bruciamola!” gridava uno.
“Deve morire” aggiungeva sua moglie inviperita, accarezzando adorante la mano destra del marito che da anni, senza successo, voleva diventare cuoco.
In mezzo alla piazza spiccava lo scranno di Torquemada, alto, inarrivabile. Puro. Ligio censore delle malefatte di Fumettoville.
“Qual'è la sua colpa?”
“Plagio! Plagio! Plagio! Plagio! Plagio! Plagio! Plagio!” gridavano in coro da stadio i saggi compaesani.
“Cosa insegnerò ai miei figli? Questa donna dà il cattivo esempio!” aggiunse una madre che nel tempo libero, tra un pettegolezzo e l'altro, faceva la maestrina alla scuola del paesiello.
“E cosa avrebbe copiato?” tuonò Torquemada.
“Una ricetta!”
“E perché ha copiato una ricetta la conducete al mio cospetto? C'è un sacco di gente che bara in questo fetente paese, perché ve la siete presa proprio lei?”
“Perché lei ruba il posto a quelli onesti come me!” Aggiunse l'aspirante cuoco, sempre coccolato dall'amorevole compagna.
Fu così che Clementina fu legata al palo della vergogna e arsa viva nella pubblica piazza. Le sue grida di aiuto si alzarono verso un cielo sordo al suo dolore.
Torquemada la fissava dall'alto, ma il suo occhio guardava oltre e pensava a tutti coloro che avevano copiato spudoratamente uno stile di cucina e l'avevano fatta franca. A tutti coloro che, in mancanza di talento, avevano saputo vendere la propria immagine, diventando famosi perché in piazza erano sempre pronti ad azzuffarsi. Ai sopravvalutati e a tutti quelli che avevano lasciato Fumettoville perché umiliati o schifati da quel mondo di serpenti travestiti da agnellucci. E pensò alle locande che approfittando di un monopolio di fatto, da anni proponevano il solito insipido menù. Perplesso, Torquemada chiuse la finestra per non respirare ancora l'odore acre della carne bruciata. Tirò le tende, si sedette sulla poltrona fatta di pelle di paesano e chiuse gli occhi.
“Clementina, mi dispiace. Tu hai copiato una ricetta, hai commesso un errore o almeno una grave ingenuità. Hai sbagliato ed è giusto che tu sia stata punita, ma quelli che oggi, spesso per interesse personale, ti hanno vilipesa, insultata, umiliata e infine bruciata viva, sono sicuro che non siano meglio di te. Avranno avuto anche loro delle debolezze. Avranno commesso degli errori, o li commetteranno.”
Il grande censore si passò una mano su gli occhi e prima di sprofondare nel sonno della ragione formulò l'ultimo lapidario pensiero: “E comunque, tu certamente copiavi... ma molti di loro continuano a cucinare di merda.”

Disegno di P.Dall'Agnol tratto da DyD "Caccia alle streghe".

Trattasi di racconto di fantasia. Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

venerdì 3 febbraio 2012

Il fumettista e "il posto fesso".

Nel 1994, quando ho iniziato a pubblicare fumetti, ero un lavoratore molto atipico. Disegnavo le mie tavole per sessantacinquemila lire l'una, ed ero convinto che presto le cose sarebbero cambiate. Anche i fumettisti avrebbero goduto delle tutele degli altri lavoratori: contratto, pensione, malattia e un meritato posto fisso. All'epoca nessun autore aveva la partita iva, ma faceva solo ritenute d'acconto e l'assunzione a tempo indeterminato sembrava inconciliabile con l'idea stessa di fumettista. L'unica speranza si concretizzava nella possibilità di lavorare per la gloriosa casa editrice di via Buonarroti, dove si favoleggiava che chi aveva la fortuna di entrarci poi non ne usciva più. Una specie di impiego statale dei comics.
A vent'anni ne ero certo: presto il fumettista sarebbe stato trattato come tutti gli altri lavoratori. E invece no. La realtà, dicono quelli privi di fantasia, supera sempre l'immaginazione. Non è andata proprio così.
Sono arrivati i "Co.coco", che tipo Pokemon si sono evoluti in "Co.co.pro", stage non retribuiti, precariato, l'euro, la crisi, la crisi sempre più nera ignorata da un buffone e da una manica di lacchè e oggi un tecnico al governo. Un tecnico, un massonico professore che ci dice quanto sia noioso il posto fisso.
Insomma, non è il fumettista che ha migliorato la sua qualità del lavoro, ma il resto dei lavoratori che si è adeguato alla precarietà del mondo del fumetto.
Insomma, non serviva mettere un tecnico al governo... bastava un editore di fumetti.

( Continua...)