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lunedì 25 febbraio 2013

Sono una brutta persona... ovvero: tutto quello che non avreste voluto sapere sulla vita di un fumettista

Sono una brutta persona.
Viviamo nell'epoca dei social network, lo sapete tutti e tutti ne apprezzate i vantaggi. Per un autore di fumetti come il sottoscritto, che lavora confinato nel suo minuscolo studio in un paesino alle porte del capoluogo toscano, uno dei pregi di Facebook è certamente quello di avere l'illusione di lavorare in un grande studio, accanto a colleghi di tutta Italia. Chiudo gli occhi davanti al pc e mi immagino in un luminoso loft costruito su uno dei satelliti di Giove, con una bellissima vista sulla via lattea. Ogni tanto passano anche i lettori, che nel frattempo sono diventati amici, a salutare, lasciare qualche parere e prendere un caffè insieme. Poi riemergo dal sogno e, anche se il loft nell'orbita di Giove non c'è, grazie alla rete, resta la possibilità di poter scambiare pensieri con chi condivide la mia stessa passione per i comics.
Bello, no?
Quasi sempre.
Perché, se fino a dieci anni fa, un lettore voleva incontrare un fumettista, muoveva le chiappette e andava a cercarlo a qualche presentazione dei suoi ultimi lavori. Oggi, gli incontri con gli autori, sono sempre più deserti e i lettori ci contattano comodamente attraverso Facebook.
E qui veniamo al motivo per il quale io sarei una brutta persona.
Specialmente il lunedì mattina, visto che il week end molta gente non sa che cacchio fare, apro i messaggi della diabolica creatura di Zuckerberg, e mi trovo di fronte alle più disparate richieste...

<<Salve, stiamo raccogliendo delle illustrazioni per un'asta il cui ricavato ci aiuterà a installare i termosifoni negli igloo degli eschimesi. Spero vorrai dare un contributo!>>
Pare che saranno i fumettisti uniti a salvare il pianeta. Se lo sapevo presentavo una lista civica alle elezioni col nome “Risaliamo le chine”.

<<Ciao, raccogliamo tavole a fumetti per una mostra che sensibilizzi il mondo rispetto all'estinzione del Loris lento. Il tuo contatto me l'ha passato un amico comune che però non vuole che ti dica chi è...>>
E ci credo.

<<Bella, fratello! Sono un giovane scrittore. Non ho ancora un editore, ma mi servirebbero 115 disegni per illustrare il mio libro. Non è che hai cinque minuti per aiutarmi?>>
Sono figlio unico.

<<Sono un regista d'avanguardia e vorrei realizzare un remake animato de “La corazzata Potëmkin”. Ti andrebbe di collaborare? Naturalmente verrai pagato dopo che il film arriverà nelle sale.>>
Ok, ma solo se all'inizio facciamo una ripresa in cui gireremo la scena della carrozzina che rotola per la scalinata e dentro ci starai tu.

<<Salve, sono uno sceneggiatore di sedici anni. Ho scritto 20 pagine di un bellissimo e innovativo fumetto. Tra la Mondadori, La Rizzoli, e RCS ho scelto voi per pubblicarlo. Vi racconterò lo sconvolgente finale solo durante l'incontro per firmare il contratto. Non ho il disegnatore, sceglierò tra i vostri.>>
Scegli pure tra quelli della Mondadori, va!

<<Hai visto i miei disegni e non vanno bene? Vergogna! Non riconosci il talento! Ti accorgerai dell'occasione che hai perso!>>
Sono costernato! Pensavo che i disegni li avesse fatti il tuo bambino di quattro anni.

E la mail più ricorrente (di solito sgrammaticata):
<<Ciao, faccio collezione di disegnini. Mi mandi gratis a casa una illustrazione autografata?>>
Magari te la porto e per l'occasione ti do anche un paio di mani di vernice al cancello, che ho visto qualche punto di ruggine.
Ma santo cielo, quando vedo in un negozio un paio di scarpe che mi piacciono, entro e chiedo quanto costano, non dico: "ciao, faccio collezione di scarpe, mi regaleresti quel paio?"

Nella maggior parte dei casi, soprattutto per le iniziative benefiche, cerco di accontentare tutti, ma capita che alcune richieste mi indispettiscano particolarmente, ed è lì che il pacioso Dottor Jekyll diventa un venefico signor Hide.
Succede soprattutto quando mi accorgo che la mail che mi è arrivata, è stata copia-incollata ad altri 30 colleghi pescati in rete, oppure quando, nel testo sbrigativo, non c'è neppure una minima traccia di apprezzamento nei confronti del lavoro che ho fatto. E capita specialmente quando il mittente non ventila neppure lontanamente l'ipotesi di rimborsare, non il disegno, ma almeno busta e francobolli.
Il fatto che i fumettisti siano rintracciabili in rete non vuol dire che siano un ente benefico.
Noi col disegno ci viviamo.
E poi, per me, dover andare a spedire la busta è sempre un calvario fatto di una lunga fila dove resto invischiato tra pensioni, bollette e improbabili rimborsi IMU.
Insomma, io i disegni li faccio gratis, e mi fa molto piacere... ma veniteveli a prendere di persona alle fiere o agli incontri.

Ecco, è qui che io divento una brutta brutta brutta persona, perché non resisto alla tentazione di prendere un po' in giro pubblicamente chi mi fa queste richieste.
E' un po' come una berlina dell'era di Facebook.
Che poi sono così fesso che se vi offendete, mi sento pure in colpa.

Fortunatamente, però, ci sono tanti lettori più sensibili, che in questi anni mi hanno avvicinato dandomi l'impressione di apprezzare sinceramente quello che faccio.
E sono la maggior parte.
C'è chi mi compra il disegno (e a prezzi davvero modici, credetemi), c'è chi mi manda un regalo per lo schizzo ricevuto, magari offrendomi quello che produce, in un meraviglioso e mai fuori moda, etico baratto. Il mio tempo per il tuo tempo: perfetto.

Ma a volte basta anche un sorriso sincero, o magari una lettera che racconti le emozioni che susciterebbe quel piccolo scarabocchio, perché la riconoscenza è per me la più pregiata moneta di scambio.

martedì 9 ottobre 2012

Dediche senza richieste a Radio Strega

"Fabio abbassò il cursore della linea esterna e interruppe la chiamata. Contemporaneamente fece scivolare nell'etere le note di un  brano musicale. Desdemona si sfilò le cuffie e accese l'ultima sigaretta della notte. Quella assurda telefonata era finita e aveva lasciato parecchie scorie, ma lei sapeva che il fuoco dello zippo aveva il potere magico di carbonizzare anche i brutti pensieri, non solo il tabacco delle Golouse. Altri racconti e altra musica avrebbero raggiunto presto i suoi ascoltatori, un popolo di esseri notturni, assetati di emozioni vere che solo la radio sa regalare. Per adesso, però, si concedeva il piacere di dedicare a tutta quella gente che proprio non voleva capirla un pezzo degli Zen Circus... Senza rancore."

mercoledì 25 luglio 2012

Strane Storie - "Il Critico"

Mentre osservo rapito una katana appesa vicino al bancone del bar, vengo richiamato dai saluti concitati dei miei amici. Il Critico è sbucato tra la folla di una calda convention di fumetto e si infila tra di noi come l'allegato in un quotidiano. Capisco che scrive per la rivista di uno dei presenti, quindi, dopo i convenevoli, iniziamo ad annusarci il sedere.
Ne ha per tutti.
Non gli piace niente, sono tutti un po' fessi questi autori, solo capaci di riempire le sceneggiature di buchi narrativi neppure fossero dei groviera.
Il discorso cade sulle produzioni della casa editrice con cui collaboro.
“Uh, Cornacchio... non è che fosse un capolavoro” dice sorseggiando uno sciroppo di tamarindo. "Cominciamo male" penso. “Ha venduto molto più di altri..." aggiungo.
"Merito di avere Panzarelli in copertina..."
"Merito nostro che l'abbiamo coinvolto" uno a zero, palla al centro e pubblico in festa.
"Ah, quindi è colpa tua se Quandomai da fumetto web diventerà cartaceo... ho letto qualche puntata: che palle... e poi certe idee sono davvero poco plausibili. Cioè, quella stronzetta compra la spesa per tutti e loro la trattano a pesci in faccia?"
"Vabé, se uno si sente umiliato ci sta che reagisca come i coinquilini di Marty, te lo dice una che ha una coinquilina che te la raccomando..." interviene la mia metà.
"Seeé... anche io ho convissuto..." solo con maschi, immagino "... e se mi compravano la roba gratis me la sbafavo con tanti saluti."
Lì mi accorgo che il tizio sta iniziando a valutare la mia ragazza.
La guarda con occhi torbidi e un sorrisetto sbieco sulla bocca. Sarà una paresi imminente? lo spero.
Oddio, non è la prima volta che mi lumacano la donna sotto al naso, perché lei piace specialmente ai fumettisti. Soprattutto a quelli attempatelli, ma questa è un'altra storia. Vabè, meglio tornare a bomba nel discorso, prima che le chieda di che colore ha le mutandine.
"E' un piccolo patto col lettore..." dico "serve alla crescita del personaggio, è una specie di romanzo di formazione, e..."
"Macchè formazione, vuoi dirmi che quella lì cambierà? Non è credibile, una così non cambia. Quandomai è praticamente un fumetto di fantascienza."
"Di cosa ti occupi?" chiede la mia Dea.
"Cinema." Bella mossa, giaguaro. A tutte le ragazze piace il cinema. Cosa le proporrai di vedere, ora? Il divano del produttore?
"Oh! Che bello" dice lei. "'Fanculo" penso io.
Lui sente la lenza tirare e prova a girare il mulinello "Curo un programma televisivo di critica cinematografica..."
"Vedo un sacco di film orrendi, ad esempio, ce n'era uno di fantascienza che si intitolava Sei gnomi sulla terra, imbarazzante! Un delirio..."
"Io sono amico del regista" dico. Per la serie, datti una calmata o i tuoi denti salteranno come specchietti in una strada stretta.
"Dai, amore... quel film è proprio imbarazzante" dice la mia Lei. E non posso darle neppure torto.
"Ha il merito di averci provato, però. Non capita spesso che in Italia si provi a trattare certi argomenti" mi innervosisco. Intanto si è alzato un vento terribile, una bora caldissima che fa volare delle tavole a fumetti che i miei amici stavano valutando. Per poco, una pagina di Harry Freak non finisce nel vassoio degli aperitivi.
" La serie TV Frigne, ti piace?" spero di trovare un terremo neutro per continuare la conversazione.
"Per carità, mi ha annoiato fin da subito..." niente da fare.
"L'hai visto “Ogni cosa è retro-illuminata”?" Chiede la mia unica ragione di vita.
"Oh, delizioso..." dice lui, mentre gli aumenta la salivazione.
"Gli fa schifo tutto quello che piace a te e gli piace quello che piace a me..." dice la mia signorina ridendo sotto i baffi e infilzando una cotoletta fritta fritta fritta.
"Già... chissà perché."
"Qual'è il tuo attore preferito? Insomma, che tipo di uomo ti piace?" le chiede.
"Ce l'hai sotto gli occhi, razza di un pirla" penso.
Dovrei ribaltare il tavolo, ma faccio finta di nulla. Alle medie facevo la stessa domanda alle ragazzine per capire se rientravo nel modello preferito.
E poi, Il Critico, ricomincia la lista di tutti i fumetti che non gli son piaciuti. Spesso adduce la mancanza di credibilità come discriminante. Come se la credibilità fosse un dato oggettivo, ma c'è gente che crede in tutto, addirittura nelle fesserie che dice la critica.
Ci sono due tipi di critica, una si arrovella per sottolineare i difetti, l'altra sottolinea il bello. Comprendo solo la seconda, perché l'altra mi pare somigli più a superbia capace solo di carbonizzare quello che incontra.
"Ah, la sceneggiatura di quel fumetto ha più crateri della luna!" insiste.
Ma dove li vede tutti questi errori macroscopici. Forse sarò miope, oppure troppo indulgente. Oppure rapito dalla sospensione dell'incredulità. Penso a tutto quello che sta dietro la realizzazione di un fumetto. Tutta quella fatica non può essere sepolta dal sorrisetto sardonico di chi crede di saperla lunga. Perché il più delle volte il critico è un uomo che conosce la strada, ma non sa guidare l'auto.
"E poi, per non parlare di quella cagata de La Sonnambula..."
No, questo è troppo. Nessuno può toccarmi impunemente Ofelia Fetus, La Sonnambula
Con calma Zen, mi alzo e a passi lenti mi dirigo verso la parete di fianco al bar. Allungo la mano verso la katana, l'afferro e la sfodero.
Un colpo secco e la testa del Critico, passando sotto gli sguardi paralizzati dei miei amici, rotola sul tavolo tra le birre e i Martini, andando a fermarsi sulle tavole a fumetti.
Ora finalmente quella testa ha una utilità reale.
Un fermacarte.
Purtroppo per te, ora non potrai dire che questa storia è piena di buchi narrativi.



Disclaimer: "Strane storie" sono solo dei vaneggiamenti il più delle volte dovuti al caldo. Se credete di riconoscerci questa o quella vicenda realmente accaduta, è solo un vostro problema percettivo.



martedì 3 luglio 2012

Storie di cantastorie

A Fumettoville, i cantastorie si sprecavano.
Spesso un po' saputelli, vivevano ancora della gioia di quando la maestra gli metteva 7 + al tema libero del lunedì mattina. Fermamente convinti di avere il baule pieno racconti a cui mancava solo un editore illuminato che sapesse cogliere il quid che albergava dentro di loro, ma che non aveva l'opportunità di esprimersi per colpa della lobby dei Confratelli della gran loggia del pennino o di chi era semplicemente troppo stupido per apprezzarli.
A Fumettoville, però, i cantastorie facevano una grande fatica a trovare un parthner che illustrasse le proprie fantasie. I pittori del buffo paesino erano sospettosi, restii a prestare l'opera al primo venuto. Le cassette postali di questi artisti erano satolle di richieste di amicizia e collaborazione. "Ciao, sono un idraulico con una grande passione per i fumetti! Ho realizzato un innovativo adattamento di "Guerra e pace" di solo 2000 tavole. Che ne diresti di illustrarlo? Gratis. Tanto ti diverti, no?"
E ancora. "Ho avuto una idea geniale per una graphic novel (si dice così, vero? Scusa, ma non sono molto esperto di termini fumettistici. Io lavoro in ditta da mio padre, ma alle 17 stacco. Tanto a scrivere storielle che ci vuole?) Si tratta della storia di un koala velocissimo e l'ho chiamato Speedy Koala. Originale, no?" Così, gli artisti locali, sempre che di artisti si potesse comunque parlare, iniziarono ad anteporre comprensibilmente il loro lavoro, alla giusta retribuzione in denaro. In qualche caso bastava almeno uno scambio in natura, due salami per una tavola, una scamorza per una copertina e così via.
Anche a Fumettoville imperversava la crisi.
Ma un giorno, uno dei cantastorie più conosciuti del paese, chiese ai suoi compaesani di partecipare ad uno strano progetto no-profit. Si trattava di illustrare qualche pagina di una storia giudicata troppo rischiosa dai grandi produttori di carretti per cantastorie. Una storia che puntava ad un pubblico diverso, che mai era stato preso in considerazione dagli altri, tutti presi a raccontarsi addosso le solite robe. Questo cantastorie non offriva denaro, ma i consigli provenienti da una esperienza maturata sul campo delle storie disegnate. Chi avesse lavorato con lui avrebbe potuto fare un viaggio accanto ad un capitano di lungo corso, un pilota prestigioso, uno di quelli che ti fa sembrare il lavoro una vacanza.
Fu così, che i pittori risposero in massa.
Chi per calcolo, chi per la speranza di mettersi in luce, chi per puro divertimento, illustrarono le vicende narrate dal cantastorie e le regalarono al pubblico. Ma gli altri cantastorie, quelli che non avevano nessuno che volesse rappresentare i loro sogni, iniziarono a vomitare veleno.
Sui muri di tutta Fumettoville, scrissero che quella iniziativa era un raggiro, uno scandalo, una bieca truffa, che il cantastorie aveva usato poteri magici per circuire i pittori, e che questi mentecatti andavano interdetti. Iniziarono a travisare la realtà, forse neppure consapevolmente, ma accecati dalla delusione di chi si vede escluso a causa di un meccanismo crudele.

Scuotendo la testa, il vecchio saggio leggeva triste le ingiurie scritte sui muri dello strambo paesello. Non entrava nel merito della storia. Non la giudicava, ci avrebbero pensato i posteri, ma lui, che abitava lì da sempre, non capiva più i suoi concittadini. Un tempo, ricordava, quel posto era affollato e i cantastorie si esibivano sempre di fronte ad un pubblico strabordante.
 Poi era iniziata l'emorragia.
Il paesello si era svuotato e ad ascoltare i cantastorie orbitavano poche anime sempre più distratte. Ormai era chiaro: c'erano più aspiranti cantastore che banali ma onesti spettatori. "E' quella la causa di tanto astio", pensò il vecchio saggio. Quando diminuisce il cibo, le bestie lottano tra di loro per accaparrarsi l'ultimo boccone. Gli spettatori a Fumettoville stavano svanendo, e la violenza, anche solo quella verbale, era diventata la regola.
Eppure c'era posto per tutti e non servivano raccomandazioni, ma soltanto pazienza e talento. "Quello serve, sì", pensò il vecchio saggio.
Non serve solo la tecnica, ma anche il cuore.
 E il cuore di quel paesino, sembrava ormai pieno solo di sangue rappreso.  


Disclaimer: "Strane storie" sono solo dei vaneggiamenti il più delle volte dovuti al caldo. Se credete di riconoscerci questa o quella vicenda realmente accaduta, è solo un vostro problema percettivo.

martedì 26 giugno 2012

Gli specchi luminosi

Erano davanti ai loro specchi luminosi, abbagliati da quello che vedevano.
Rabbiosi perché sapevano di essere in trappola e non volevano ammetterlo.
Consci che le loro lancette stavano per concludere il giro e avevano sprecato la loro vita. In un modo o nell'altro.
Per questo erano furenti.
Per questo si odiavano l'un l'altro, perché preferivano proiettare le loro sconfitte negli occhi dei loro simili, piuttosto che accettarsi pienamente.
Avevano creduto che la felicità fosse un diritto, ma erano stati imbrogliati.
Nessuno gliel'avrebbe regalata.
Non ci sarebbero stati doni di natale sotto l'albero oscuro dell'esistenza.
"Si ha solo quello che realmente si desidera", era la legge sconosciuta di quell'universo. L'autocommiserazione aveva un sapore dolciastro a cui non sapevano rinunciare. Molti riuscivano a vivere solo nutrendosi di questo nettare oleoso che gli umani chiamavano sofferenza ed alimentando chissà quale parassita psichico che la scienza chiamava psicosi.
E gli specchi luminosi davanti alle quali passavano le loro ore migliori, servivano proprio a questo: a proiettare all'infinito le immagini distorte del loro essere. Cani impazziti e rabbiosi che abbaiano in cerca della felicità. Come le malattie si trasmettevano attraverso il contatto fisico, l'odio diventava pandemico attraverso gli specchi luminosi.
Ma la felicità è solo uno stato mentale.
Fu così che uno di questi inconsapevoli schiavi si alzò, prese lo specchio luminoso e lo spaccò in mille pezzi.
E finalmente, nel silenzio, si sentì un po' più felice.

venerdì 27 aprile 2012

Dedicato a...

Dedicato a quelli che se chiami il tuo amico immaginario "Zeus" telefonano al tuo psicanalista per dirgli che "Zeus" se lo sono inventati loro. Dedicato a quelli che si credono Dio in terra, e se avete l'ardire di nominarli vi denunciano per lesa maestà. A quelli che se ti nominano capo classe, vanno dalla maestra a protestare per l'ingiustizia, ma che neppure capiscono che eri l'unico a voler salvare il loro culo e quello del loro amico immaginario. Infine, a quelli che parlano sempre attraverso il loro avvocato, anche solo per chiedere la carta igenica. Grandi uomini con grandi paranoie, tanto minacciosi ma un po' tristi.
 
Nota bene "Questa è un'opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale."

venerdì 23 marzo 2012

Caccia alle streghe.

E il piccolo borgo di Fumettoville insorse.
Uscirono dalle loro tetre magioni con la fiaccola in mano, ben alta, per rischiarare la buia notte della crisi dell'editoria.
Un paio di energumeni trascinavano la povera Clementina che aveva il volto insozzato dagli sputi e le ossa rotte.
Gli irreprensibili compaesani la portarono nella piazza del paese. Una piazza virtuale, ma sporca all'inverosimile. Una piazza dove gli abitanti di quel luogo andavano per vomitare le loro invidie, gelosie, le frustrazioni. L'unico luogo che le loro piccole gambette secche, non abituate al movimento, gli permettevano di raggiungere. Dal tavolo di lavoro alla piazza virtuale il passo era breve. E si poteva dire di tutto, perché nella piazza era garantita l'incolumità. Non come un tempo che si passava dalla insinuazioni alle mani in meno di un secondo.
Bei tempi.
“Bruciamola!” gridava uno.
“Deve morire” aggiungeva sua moglie inviperita, accarezzando adorante la mano destra del marito che da anni, senza successo, voleva diventare cuoco.
In mezzo alla piazza spiccava lo scranno di Torquemada, alto, inarrivabile. Puro. Ligio censore delle malefatte di Fumettoville.
“Qual'è la sua colpa?”
“Plagio! Plagio! Plagio! Plagio! Plagio! Plagio! Plagio!” gridavano in coro da stadio i saggi compaesani.
“Cosa insegnerò ai miei figli? Questa donna dà il cattivo esempio!” aggiunse una madre che nel tempo libero, tra un pettegolezzo e l'altro, faceva la maestrina alla scuola del paesiello.
“E cosa avrebbe copiato?” tuonò Torquemada.
“Una ricetta!”
“E perché ha copiato una ricetta la conducete al mio cospetto? C'è un sacco di gente che bara in questo fetente paese, perché ve la siete presa proprio lei?”
“Perché lei ruba il posto a quelli onesti come me!” Aggiunse l'aspirante cuoco, sempre coccolato dall'amorevole compagna.
Fu così che Clementina fu legata al palo della vergogna e arsa viva nella pubblica piazza. Le sue grida di aiuto si alzarono verso un cielo sordo al suo dolore.
Torquemada la fissava dall'alto, ma il suo occhio guardava oltre e pensava a tutti coloro che avevano copiato spudoratamente uno stile di cucina e l'avevano fatta franca. A tutti coloro che, in mancanza di talento, avevano saputo vendere la propria immagine, diventando famosi perché in piazza erano sempre pronti ad azzuffarsi. Ai sopravvalutati e a tutti quelli che avevano lasciato Fumettoville perché umiliati o schifati da quel mondo di serpenti travestiti da agnellucci. E pensò alle locande che approfittando di un monopolio di fatto, da anni proponevano il solito insipido menù. Perplesso, Torquemada chiuse la finestra per non respirare ancora l'odore acre della carne bruciata. Tirò le tende, si sedette sulla poltrona fatta di pelle di paesano e chiuse gli occhi.
“Clementina, mi dispiace. Tu hai copiato una ricetta, hai commesso un errore o almeno una grave ingenuità. Hai sbagliato ed è giusto che tu sia stata punita, ma quelli che oggi, spesso per interesse personale, ti hanno vilipesa, insultata, umiliata e infine bruciata viva, sono sicuro che non siano meglio di te. Avranno avuto anche loro delle debolezze. Avranno commesso degli errori, o li commetteranno.”
Il grande censore si passò una mano su gli occhi e prima di sprofondare nel sonno della ragione formulò l'ultimo lapidario pensiero: “E comunque, tu certamente copiavi... ma molti di loro continuano a cucinare di merda.”

Disegno di P.Dall'Agnol tratto da DyD "Caccia alle streghe".

Trattasi di racconto di fantasia. Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.