Con questo post spero di non offendere nessuno.
O forse sì?
L'amor di patria, l'appartenenza, è un sentimento irrazionale che ricorda per certi aspetti la religione. Per capirlo non serve aver studiato psicologia.
Io, che non ho studiato psicologia e che sono profondamente popolare in ogni cellula del mio corpo, rifletto sulla miriade di bandiere tricolore appese alle finestre. Puliti rettangoli di stoffa colorata a tinte massoniche, che portano ancora le pieghe della confezione, a testimonianza del fatto di essere state acquistate ed esibite da patrioti spinti da un irrefrenabile "bisogno di esserci" dell'ultimo secondo.
Ieri notte, nelle strade fiorentine, oltre ad un tasso alcolico preoccupante, si assisteva ad un tripudio di tricolori come mai mi era capitato di vedere. Neppure alla vittoria dei mondiali. Solo per protestare contro la guerra in Afghanistan avevo visto tanti stendardi alle finestre, e quella volta erano arcobaleno.
Resto un po' perplesso verso questo improvviso orgoglio italiano.
Resto perplesso per le origini storiche, perché dietro l'ideale trasmesso alla carne da cannone di chi combatteva e moriva in prima linea, c'erano solo ideali di espansione politica piemontese.
Sono soprattutto perplesso, perché gli italiani sembrano sentirsi tali ad intermittenza, costantemente divisi da cultura e campanili, e sono riusciti pure a mandare al governo un partito che auspica la secessione.
Io non amo le bandiere perché sono sinonimo di frazionamento e divisione, mentre questo mondo, mai come oggi, avrebbe bisogno di unità.
Non dividere, ma sentirsi un unico popolo planetario, fatto di carne e sangue.
Una enorme famiglia confinata in un microscopico pianeta del sistema solare, impegnata in una continua zuffa interna spesso giustificata proprio dalla retorica che erige muri e sventola bandiere.
Mi spiace, amo questo paese, ma non isserò nessuna bandiera.