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venerdì 29 aprile 2011

Un matrimonio dell'altro mondo



Manca pochissimo al "fatidico sì": il matrimonio tra Kate e William fissato per venerdì 29 aprile.

Come dite? No, non sono impazzito. O forse sì, visto che parlo di un matrimonio "reale". Un evento che proprio non dovrebbe toccarmi, ma che vorrei proporvi in un ottica "diversa".
Premetto che non c'è nulla che mi è più distante rispetto a delle nozze reali.
Non c'è nulla che mi appaia così anacronistico e alieno come l'incoronazione o il potere per discendenza. Le persone, per essere davvero se stesse, dovrebbero partire da zero, senza essere un'appendice della famiglia di origine. Figuruiamoci come posso vedere l'idea di una famiglia reale. Quasi divina.
Per sdrammatizzare, sempre che di dramma si tratti, vi segnalo il post di Francesco Matteuzzi sull'argomento. Lo so, Francesco, la gente è ingrata.
Ma torniamo al William. Non mi dilungherò sul personaggio ma mi interessa raccontarvi qualcosa che potete ascoltare come una fiaba.
Sapevate che qualcuno lo ha definito l'Antiscristo?



Joey Puegh, ha pubblicato un articolo in cui giunge a tale conclusione confrontando le fattezze dell'uomo della sindone con i lineamenti dell'erede al trono d'Inghilterra.
Effettivamente una somiglianza tra i nasi c'è... E perché, si chiederanno i miei piccoli lettori?
Perché, stando alla Puegh, sarebbe stata eseguita una clonazione, usando il materiale genetico presente sulla Sindone.
Ora... io già non sono affatto sicuro dell'originalità della Sindone che per me resta una reliquia di origine medievale come provato dagli esami fatti, poi mi verrebbe da dire alla signora Puegh che pure Diana aveva un bel nasco pronunciato. Parlano della figura dell'Anticristo e personalmente ho ancora molti, molti dubbi sulla figura del Cristo storico e comunque, se a corte ci fossero scenziati di tale livello fossi stato il Principe avrei chiesto il loro intervento anche per l'incipiente calvizie.


Se non bastasse è prevista per il giorno delle nozze anche una massiccia presenza di "dischi volanti", un po' come è stato per il discorso di Obama. Gli alieni si inbucano al matrimonio del secolo? No... come direbbe David Icke, sono i cugini del re. Gli avranno anche mandato le partecipazioni. Certo che il francobollo per Zeta Reticuli deve costare un botto.

giovedì 28 aprile 2011

La cavalcata dei magi (parte seconda)

LA CAVALCATA DEI MAGI (Parte seconda. La prima parte la trovate QUI.)
Tratto da “La lunga notte de L'Insonne”
Di Giuseppe Di Bernardo editore Marco del Bucchia




Sull’argomento, Marisa rimaneva vaga. Stava concludendo la ricerca e non voleva che qualcuno potesse impadronirsi dei suoi studi. Era ambiziosa in modo positivo. Voleva avere successo per lei stessa, certo, ma anche per dare una gioia ai suoi genitori che si sacrificavano per farla studiare cosí lontano da casa.
Passarono pochi giorni e la incrociai per caso davanti alle Giubbe Rosse. Ci salutammo e le offrii un caffè nel locale degli intellettuali fiorentini per antonomasia. La trovai stanca e appassita, anche se mi guardai bene dal confessarglielo. Probabilmente la sua ricerca le occupava le ore lasciatele ibere dall’università impedendole di riposare. Durante il nostro breve incontro non mi parlò della sua ricerca ma del suo burrascoso rapporto con Florian. La accusava della loro situazione, le diceva che invece di stare dietro a quello stupido affresco avrebbe potuto trovarsi un lavoro ben pagato. Ne avrebbero avuto entrambi bisogno Lei avrebbe voluto protestare, dirgli in faccia quello che pensava e magari lasciarlo; ma, come càpita spesso a noi donne, non ci riusciva. Erano gli occhi di Florian a tenerla legata a lui, occhi di un azzurro chiarissimo, quasi ghiaccio, occhi capaci di vedere in fondo all’anima e succhiarne l’energia vitale.
Era la notte di San Valentino, un giorno che, inutile dirvelo, detesto profondamente. La trasmissione di quella sera si era conclusa come tante altre, con Fabio che mi invitava fuori per una birra e qualcos’altro e io che gli rispondevo che per il qualcos’altro non ero ancóra disponibile e chissà se lo sarei mai stata. Stava nevicando ed era un fatto davvero inconsueto per Firenze. Una bella novità, anche se i fiocchi che cadevano dal cielo buio erano piú simili a gocce d’acqua congelata. Avrei voluto fare a pallate con Fabio, ma la neve non sembrava proprio intenzionata ad attaccarsi.
Avevo appena aperto il portone della radio che percepii una presenza accovacciata sui gradini alla mia destra. Infagottata in un piumino che un tempo doveva essere stato color crema, c’era Marisa. Piangeva e sembrava davvero disperata. Non sembrava neppure piú lei: i suoi capelli ribelli erano ormai stati domati e sembravano esausti. Forse era la neve che le era caduta addosso, ma ebbi la netta impressione che le fossero venute improvvisamente delle ciocche bianche. Ma la cosa che mi lasciò letteralmente senza fiato furono gli occhi. Il fuoco, che le si agitava dentro e che mi aveva conquistato al nostro primo incontro, si era spento.
«Me l’ha rubato» mi disse guardandomi come una bambina alla quale è stato strappato il giocattolo piú prezioso.
«La mia ricerca, l’avevo finita e avevo un appuntamento con un prof dell’università. Uno storico, uno famoso. Era entusiasta della mia storia e aveva promesso di aiutarmi a farne un libro. Sarei anche andata in TV, ne sono sicura» mi disse trattenendo le lacrime. Florian aveva lasciato il loro appartamento insieme al portatile che conteneva tutta la ricerca di Marisa. Certamente aveva bisogno di soldi per giocare e quel piccolo computer gli avrebbe garantito un’altra dose.
Capivo il dolore che stava provando Marisa: era stata tradita dall’uomo che amava, un uomo talmente insensibile da non avere scrupoli nel rubarle la cosa piú preziosa che avesse. Noi donne non cambieremo mai: sono sempre i peggiori a farci battere piú forte il cuore. Comprendevo la sua disperazione, ma non mi sembrava una situazione cosí tragica: qualunque cosa ci fosse stata scritta in quel portatile, avrebbe potuto scriverla di nuovo. L’avrei aiutata io, poteva contare su di me; ora doveva solo stare tranquilla e salire in radio per scaldarsi un po’.
La presi per un braccio e tentai di sollevarla. Quando fu quasi in piedi, e uscí dal cono d’ombra dove si era rifugiata, mi resi conto che aveva i capelli davvero bianchi, come se fosse invecchiata di dieci anni in pochi giorni. Il fuoco nei suoi occhi si era spento definitivamente e ora vedevo solo la notte che le si rifletteva dentro per inghiottirla.
«Io… sto perdendo la memoria» mi disse. «È cominciato da quando Florian si è messo a giocare. Non mi ruba solo i soldi, mi ruba l’energia e i pensieri. Ho ancóra un ricordo vago della mia ricerca, ma so che tra poco non ci sarà piú nulla. Per questo sono venuta a cercarti. Ti prego, Desdemona, vuoi essere la mia memoria?» Mi guardò con i suoi occhi vuoti e un brivido mi percorse i fianchi. Cosa le stava succedendo? Forse il troppo lavoro sulla sua ricerca l’aveva fatta andare incontro ad un forte esaurimento? Stress? Depressione? Non riuscivo a capirlo, avrei cercato di dare un nome alla malattia che affliggeva Marisa, ma intanto dovevo portarla via dalla strada gelata.
«D’accordo» le dissi «a patto che mi racconti la tua storia al caldo di Radio Strega».
La macchinetta del caffè emise un flebile pigolio risentito per l’ennesimo liquido caldo e denso che le mungevamo quel giorno. Porsi il bicchierino di plastica a Marisa, la quale per un attimo sembrò non capire neppure cosa fosse. Poi lo annusò e un leggero sorriso le comparve sul vólto. Il profumo è un eccezionale elisir della memoria e anche quella volta aveva fatto il suo dovere. «Bevevo sempre un sacco di caffè quando lavoravo alla mia ricerca» mi disse.
E iniziò a raccontare.
«Bisognava tornare indietro di quasi seicento anni per conoscere il mistero che circondava la Cavalcata dei magi e l’enigmatico paggio al séguito dell’imperatore di Bisanzio. Avrei scoperto una storia insospettabile, fatta di inquietanti attori che si esibivano davanti a una scenografia d’eccezione come la Firenze del ’400.
Oggi come allora, Firenze ha due facce sovrapposte e complementari: da una parte c’è la città visibile, quella del bello, dei luccicanti negozi di moda e delle gallerie d’arte, simbolo del razionalismo umano; l’altra faccia è nera e occulta, come un fiume in piena che improvvisamente rompe gli argini e travolge tutto. Solo in quel momento, durante una alluvione, ci si rende conto del fango che si nasconde sotto la superficie dell’acqua.
Anche nel rinascimento, accanto alla città illuminata dei Medici, ce n’era una nascosta, morbosa e occulta, fatta di alchimisti e negromanti. Insospettabili personaggi dediti a pratiche oscure che sono arrivate fino a noi, regalandoci sette piú o meno sataniche, forse mandanti di crimini efferati, attribuiti ad un maniaco, ma che sono in realtà il risultato di un preciso rito occulto che affonda le sue radici nei secoli passati.
La Firenze dei Medici poteva vantare uno dei massimi esponenti della cultura esoterica dell’epoca, un abate sacrilego e spretato di nome Francesco Prelati. L’uomo, dotto e affascinante, si abbandonava alle pratiche piú abominevoli, spingendosi con disinvoltura fino al sacrificio umano. Nell’estate del 1438, annunciò ai suoi adepti che bisognava raddoppiare le messe nere e i sacrifici sanguinosi per ingraziarsi i demoni infernali. Da quel giorno, complice l’arrivo imminente della peste, Firenze vide una ecatombe di adolescenti. Una vera e propria strage degli innocenti, l’ennesima che la nostra storia avesse visto.
La fama di Prelati, però, è arrivata fino ai giorni nostri grazie al suo sodalizio con un altro criminale sanguinario, considerato da molti il primo vero serial killer che la storia ricordi: Gilles Lavai de Rais, signore bretone, compagno d’armi di Giovanna d’Arco nella Guerra dei Cento Anni e generale degli eserciti francesi. Giovane, ambizioso, ricco e senza scrupoli, fu nominato da re Carlo VII maresciallo di Francia e, ritiratosi dalla vita militare nel suo castello in Bretagna, diede libero sfogo alla passione per il giovane sangue. Pedofilo e sadico, si circondò di maghi e stregoni che lo convinsero che bere sangue di fanciullo gli avrebbe dato ricchezza e immortalità.
Tra il 1433 e il 1440 furono centoquarantanove le sue vittime, tutti bambini e adolescenti, facili prede per uomini ricchi e potenti. Le strade erano affollate da piccoli mendicanti pronti a seguire chiunque per un tozzo di pane. Il male, da sempre, colpisce il piú debole: l’emarginato è sempre la vittima piú gustosa.
Dal 1439 Prelati diventò un uomo di fiducia di Gilles: officiava messe nere, compiva malefici ed evocava, per lui, il demone Barron».
Quello che Marisa mi stava raccontando non era riportato sui libri di storia: lo aveva dedotto leggendo centinaia di racconti e testimonianze dell’epoca e aveva ricostruito uno scenario spaventoso ma credibile. Come siano andate realmente le cose non possiamo saperlo.
L’Insonne, però, racconta storie vere ma anche presunte o possibili. Raccontare storie è la mia missione e da questo impegno non posso sottrarmi. Fabio, il mio regista, ha messo in sottofondo un brano di Ludovico Einaudi: cosí, mentre ascolto le magiche note del suo pianoforte, accendo una sigaretta e in una nuvola di fumo, mi illudo di vedere cosa successe per le strade di Firenze in quella notte di tanti anni fa.
Il 15 febbraio del 1439, accolto dal cancelliere della Repubblica Leonardo Bruni, fece il suo ingresso trionfale a Firenze l’imperatore di Costantinopoli Giovanni VIII il Paleologo. La sua corte si fece largo attraverso una folla festante e curiosa, che ne accompagnò il passaggio attraverso la città. Quella sfilata cosí inusuale lasciò profonde tracce nella fantasia del popolo, influenzandone l’arte, i costumi e la cucina, ma attirando allo stesso tempo la morbosa attenzione di un personaggio dal cuore marcio che, nascosto nella folla, era rimasto affascinato da ben altro che dalle stoffe variopinte sfoggiate dai cavalieri orientali.
Francesco Prelati aveva adocchiato un piccolo paggio che reggeva il mantello dell’imperatore. Un bambino di otto anni, bruno e bellissimo. Forse l’idea gliela aveva suggerita Barron, il suo demone privato, o forse era stato un desiderio di Gilles de Rais in persona, arrivato dalla Francia in gran segreto per partecipare ad un rito occulto, blasfemo e potentissimo, officiato proprio nel luogo della riunificazione della cristianità.
La sfilata era finita e la notte aveva steso il suo freddo manto su Firenze.
Nel Palazzo Peruzzi, la porta si aprí senza far rumore e una donna entrò nel grande salone adibito a dormitorio. I paggi, tutti ragazzini dai cinque ai dodici anni, riposavano uno accanto all’altro, sotto un bellissimo soffitto a cassettoni, mentre dei passi risuonavano svelti nel silenzio della stanza. Uno dei paggi, il piú piccolo, avvertí un soffio d’aria gelida alle spalle e un brivido lo destò con uno scossone.
«Mi è passata la morte vicino» pensò; «è toccato a un altro e non a me» e con questo pensiero rassicurante si addormentò.
Era certamente oltre la mezzanotte quando un altro piccolo paggio fu svegliato da un lieve respiro al suo orecchio.
«Lo vuoi un po’ di pane e miele?» disse una voce. Una giovane ragazza della servitú si era seduta sul suo letto e gli accarezzava i folti capelli neri. Il bambino non capiva una parola di volgare, quella lingua parlata dal popolo, ma lo sguardo e la voce della ragazza erano cosí dolci che promettevano certamente qualcosa di buono.
Il paggio si alzò e la serva lo prese per mano, guidandolo fuori dalla stanza dove dormivano gli altri fanciulli, tutti ignari del destino a cui erano scampati.
La serva coprí le spalle del bimbo con un telo di iuta e lo accompagnò fuori dove lo attendeva un carretto trainato da un grosso cavallo nero. La ragazza prese dei soldi dal cocchiere e allungò un fagotto al bambino che ci trovò dentro un tozzo di pane nero farcito col miele. Dal carretto scese un uomo incappucciato che lo prese per un braccio e lo tirò a forza sul carretto. La presa dell’uomo non lasciava dubbi sulle sue intenzioni e il bimbo capí di aver commesso un errore a seguire quella bella serva dalla voce rassicurante.
La ragazza, guardando il cocchio che si allontanava, contò i fiorini che le erano stati dati in cambio di quel ragazzino venuto dall’oriente. Avrebbe raccontato di averlo visto fuggire nella notte in direzione di Palazzo Vecchio. Il giorno dopo, i resti del suo corpo sarebbero stati trovati nelle gabbie dei leoni custoditi nel retro dell’edificio. Un incidente, un tragico incidente che di certo non avrebbe turbato lo svolgersi del Concilio.
Il carretto superò indisturbato Porta Santa Maria, lasciandosi alle spalle le mura della città e inoltrandosi nel fitto bosco che circondava Firenze. Dieci minuti dopo si era già fermato e l’uomo incappucciato che aveva preso in custodia il bambino, lo strattonò ancóra per farlo scendere.
Nel bosco vide quella che al piccolo paggio sembrò una specie di strana festa intorno al fuoco, dove uomini e donne cantavano canzoni in una lingua sconosciuta. A guardarlo bene, quello strano ritrovo sarebbe sembrato piú una messa che una festa. Una messa, sí, se non fosse stato per una coppia, in mezzo al capannello di gente, che faceva quella cosa che aveva di nascosto visto fare a una cameriera e a uno degli armigeri del castello dove abitava. Non gli sembrò poi tanto strano: lo incuriosiva solo il fatto che lo facessero lí, davanti a tutti, con quegli astanti che sembravano dare il ritmo. Alcuni degli spettatori erano mascherati e gli altri presenti gli si rivolgevano con riverenza.
La cosa che lo spaventava di piú, però, era un grosso fantoccio: sembrava rappresentare un caprone per via delle sue grosse corna. Ne aveva visto uno simile in una rappresentazione teatrale, ma lí nessuno lo baciava sotto la coda come invece facevano le persone a quella strana festa.
C’era anche un uomo vestito da prete che recitava parole senza senso mentre calpestava una croce di legno. Quando si accorse della presenza del paggio, fece un cenno all’incappucciato, che lo aveva in consegna, di accompagnarlo da lui, davanti ad un piccolo altare fatto di pietra grezza. La piccola folla si aprí al passaggio del bambino e gli si richiuse intorno avvolgendolo.
Gli strapparono i vestiti, lo strattonarono e lo profanarono.
E l’orrore entrò dentro di lui e nel suo cuore.
Il sole stava quasi per levarsi quando il piccolo paggio aprí di nuovo gli occhi. Sentiva male in tutto il corpo ed era imbrattato di sangue che non sapeva neppure se fosse suo. I partecipanti alla mostruosa festa erano sdraiati intorno al fuoco che si stava spegnendo. Il vino e la stanchezza li avevano vinti.
Il piccolo uomo, a cui era stata rubata l’innocenza, riuscí a trascinarsi dietro un cespuglio vicino. Strinse gli occhi e il piú forte possibile serrò i pugni. Maledí il cielo per essere ancóra vivo. Quello che gli avevano fatto lo avrebbe portato per sempre con sé. E non sarebbe stato un bagaglio leggero. Pensò di togliersi la vita, ma si pentí súbito. Quelle persone, se di persone si poteva parlare, avevano bestemmiato e calpestato la croce; cosí giurò a se stesso che avrebbe continuato a vivere al solo scopo di difendere la cristianità. Ogni infedele, trafitto dalla sua spada, sarebbe stato un sasso di meno nel suo bagaglio colmo di pietre.
Quello che era stato un paggio innocente riuní tutte le forze che gli erano rimaste, si alzò e si intrufolò nella boscaglia. Appena fu lontano da quella gente si mise a correre piú forte che poteva, con una foga e una determinazione che lo avrebbero accompagnato per il resto della sua gloriosa vita.
Fuggí, lontano da quella città che l’aveva accolto festante e che poi gli aveva mostrato compiaciuta il suo vólto maledetto.
La violenza è un seme oscuro che se sotterrato nella fertile anima di un bambino genera fiori orribili.
«Chi era quel paggio, Marisa?» le chiesi ansiosa di conoscere finalmente la soluzione dell’enigma.
Marisa era sul punto di rispondermi, ma all’improvviso precipitò in uno stato confusionale di cui non comprendevo la natura.
«Quale paggio?» mi rispose senza piú luce negli occhi. La sua memoria se n’era andata, esattamente come il pigmento dei suoi capelli. Ora sembrava una bambina albina affondata nel divano in finta pelle del salottino di Radio Strega.
Mezzora dopo, la guardavo distesa in un lettino dell’ospedale di Careggi. Aspettai il tempo necessario perché si addormentasse, chiesi rassicurazioni al medico di guardia. La diagnosi era di una forte e inconsueta forma di nevrastenia, ma gli accertamenti erano appena iniziati. Uscii dall’ospedale e partí alla ricerca di quel bastardo di Florian. Rubarle la ricerca a cui teneva tanto l’aveva talmente sconvolta da farle perdere senno, memoria e chissà cos’altro.
Lo avrei stanato, mi sarei fatta dire a chi aveva venduto il portatile di Marisa e avrei recuperato almeno la ricerca. Non prima, però, di aver fatto assaggiare a Florian la punta in metallo dei miei nuovi stivaletti.
Sapevo dove abitavano, me lo aveva raccontato lei, e avevo capíto quale fosse il bar che si era trasformato in bisca clandestina. Il locale era buio e polveroso e io lí dentro non ci avrei neppure comprato le sigarette dopo un mese di sciopero dei tabaccai. Il mattino dopo entrai spedita e mi diressi verso il retro del locale. Il barista mi gridò che non si poteva usare il bagno senza consumare; allora mi fermai, tornai indietro e posai un euro sul bancone.
«Fammi un caffè» gli dissi, «ma poi bevilo tu, che io sono già abbastanza nervosa».
Appena messo piede nel retro del pessimo locale, adocchiai un ragazzotto curvo, come in trance, abbracciato alla macchinetta che aveva sostituito nel suo cuore la piccola Marisa. Non era un gran che, pensai. Da Marisa mi aspettavo gusti migliori, anche se non posso pretendere che a tutte le donne piacciano gli uomini che amo io: belli, tormentati e maledetti.
Qual era la cosa che avrebbe fatto piú male a quella specie di invertebrato attaccato ad un videopoker? Un calcio nel basso ventre? Un graffio sulla faccia? Una testata sul naso?
Come al solito seppi scegliere la mossa piú dolorosa per la mia vittima.
Neppure mi vide arrivare, cosí mi misi alle sue spalle per osservarlo. Aspettai che il gioco avesse preso una buona piega, poi al momento dell’ultima giocata, mi abbassai e con un secco strattone staccai la spina della corrente elettrica.
Il ragazzo rimase qualche secondo come inebetito a fissare un monitor nero, poi si voltò verso di me e mi guardò a bocca aperta come per chiedermi se sapevo dove fossero finite tutte quelle lucine colorate che gli piacevano tanto.
«Checazzo hai fatto? Proprio ora che stavo per vincere!» disse, come uscendo dalla trance di botto.
«Tu sei solo un perdente, Florian» risposi fissandolo con aria di sfida.
«Chiccazzo è Florian?» mi disse lui, perplesso.
Ok, amici nottambuli. Sono insonne, ma non ho mai detto di essere infallibile.
Mi accorsi improvvisamente che quello non era l’unico videopoker del locale e che sulla parete opposta ce ne erano almeno altri cinque, uno dei quali occupato da un tipo che si era voltato incuriosito verso di noi.
«Sono io Florian» mi disse il ragazzo con aria di sfida, «e tu chi saresti?»
Ecco, decisamente meglio. Brava Marisa, questo mi piaceva di piú. Florian non aveva l’aspetto di chi passa le giornate al videopoker: i suoi occhi erano pieni di vita, anche se di ghiaccio. Ghiaccio bollente.
Mi ripresi dall’infatuazione: ero venuta per cambiargli i connotati, non per baciarlo.
«A chi l’hai venduto?» gli chiesi. «Sei una amica di Marisa?» rispose seccato.
«Sí, e se non mi dici a chi cazzo hai venduto il suo portatile ti spacco la faccia!» sono una dura quando serve.
«Credi che mi faccia paura una donna?» mi si avvicinò fissandomi divertito.
«Forse no, ma non hai idea di quanti amichetti abbia» gli risposi senza abbassare lo sguardo. «Te li sei fatti tutti?» rispose lo stronzo.
«Può darsi che anche per questo abbiano un grosso debito verso di me». Potevamo andare avanti per ore. Sono veramente una maniaca compulsiva dell’ultima parola.
Rassegnato, Florian mi raccontò di aver venduto quel portatile a un uomo che gli si era avvicinato durante l’ennesima partita al videopoker. All’inizio non si era neppure accorto della sua presenza, tanto era stato silenzioso; poi aveva sentito il suo respiro pesante e si era voltato. Era un uomo maturo, dai modi viscidi e irritanti: portava degli occhialini rotondi su un vólto molle e inespressivo. Vestiva completamente di bianco e indossava un borsalino assolutamente fuori dal tempo.
Quell’inquietante individuo gli aveva detto di avere la soluzione per i suoi problemi: diecimila euro in contanti per il vecchio computer di Marisa. Voleva il pacchetto completo, però, il notebook con tutto quello che conteneva.
Florian aveva pensato che fosse un affare. Qualsiasi cosa Marisa avesse scritto su quel portatile lo avrebbe potuto scrivere di nuovo e quei soldi gli servivano. Guardando ancóra quel tipo col borsalino si era reso conto che, anche se avesse rifiutato l’offerta, quell’uomo avrebbe ottenuto ciò che voleva, con le buone o con le cattive.
Gli dissi che aveva fatto una cazzata e che bisognava recuperare quella ricerca perché Marisa l’aveva presa molto male. Gli spiegai quello che era successo e Florian si lasciò cadere su una sedia. Sembrava sinceramente scosso.
«Dove lo posso trovare quel tipo?» gli chiesi. Non lo sapeva. Lo aveva incontrato solo due volte, ma non conosceva neppure il suo nome.
Erano passati un paio di mesi ma mi sembrava di aver solo perso tempo. Provai a chiedere in giro, ma le mie ricerche non portarono a nulla di concreto. Marisa, intanto, sembrava spegnersi ogni giorno di piú mentre i medici brancolavano nel buio.
Mi sorpresi a pensare che la mia piccola amica fosse vittima di una specie di vampiro invisibile che le stava succhiando l’energia vitale. Un parassita psichico, che aveva trovato terreno fertile nella sua disperazione. Una larva che non riuscivo a scovare ma che l’aveva ridotta all’ombra di se stessa.
Uscita dal reparto della clinica dove Marisa era ricoverata, mi fermai in un pub che stava preparando gli aperitivi. Dovevo bere qualcosa capace di tirarmi su. Quel parassita, se c’era realmente, stava succhiando anche un po’ della mia energia.
Sopra il bancone, alle spalle del barista, faceva bella mostra di sé, un televisore al plasma di ultima generazione. L’elettrodomestico piú ambíto della nostra epoca trasmetteva un noiosissimo programma culturale che sembrava fatto apposta per far cambiare canale alla gente. Tenere il pubblico lontano dalla cultura è facile: basta confezionargliela come una medicina amara, e nessuno ci si avvicinerà.
Avevo appena ordinato una vodka al melone, il drink preferito da Marisa, quando una frase del presentatore attirò la mia attenzione. L’uomo faceva riferimento ad un’importante scoperta nascosta in un affresco della Cappella dei magi in Palazzo Medici Riccardi.
La telecamera inquadrò un uomo di mezza età, dall’aspetto viscido, tutto vestito di bianco e che si stava sistemando gli occhialetti tondi. Veniva presentato come un professore dell’università di Firenze, un docente di storia dell’arte. L’uomo iniziò a raccontare una storia che conoscevo molto bene per averla già sentita per bocca di Marisa: la storia dell’affresco, del Concilio e del paggio misterioso.
Era certamente il professore con cui Marisa aveva parlato della sua ricerca, l’unico che conosceva i dettagli e il reale valore di quella storia. Le aveva rubato il risultato della sua lunga indagine e si stava prendendo ogni merito, mentre lei avvizziva per cause misteriose in una stanza d’ospedale.
Pagai la vodke e uscii di corsa: ora sapevo a chi presentare il conto della mia rabbia.
Lo trovai il giorno dopo all’università mentre firmava le copie del suo nuovo libro dal titolo “Un’ombra nella Firenze rinascimentale”.
Entrai nell’aula, mi piazzai davanti a lui e sbattendo le mani sulla cattedra, gli dissi: «Lei non è né un professore, tanto meno uno scrittore. Lei è solo uno sporco ladro».


La terza parte sarà online tra pochi giorni.

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mercoledì 27 aprile 2011

Intervista a Cose dell'altro mondo

Intervista del 27 aprile 2011 nella trasmissione "Cose dell'altro mondo" su Radio Universal.
Un grazie speciale a Salvatore Giusa e a Radio Universal tutta!



A proposito di... prima parte

A proposito delle bandiere ancora alle finestre.
Che cos’è mai il patriottismo, se non la vostra convinzione che un Paese è superiore a tutti gli altri per il semplice fatto che ci siete nati voi?
(George Bernard Shaw)

A proposito di chi crede di detenere la verità in tasca.
Quando si guarda la verità solo di profilo o di tre quarti la si vede sempre male.
Sono pochi quelli che sanno guardarla in faccia.
(G. Flaubert)

A proposito di minimi prodigi.
Guardati dalla maggioranza. Se tante persone seguono qualcosa, potrebbe essere una prova sufficiente che è una cosa sbagliata. La verità accade agli individui, non alle masse.
(Osho)

A proposiito dei presuntuosi.
Non provo compassione per i presuntuosi, perché penso che portino con sé i mezzi per consolarsi.
(G. Eliot)

A proposito dei comunicatori.
"Chi sa di essere profondo, si sforza di esser chiaro. Chi vuole apparire profondo alla folla, si sforza di esser oscuro. Infatti la folla ritiene profondo tutto quel di cui non riesce a vedere il fondo”.
(Friedrich Nietzsche)

A proposito di chi scrive in rete.
La causa principale del diffondersi dell’ignoranza di massa è il fatto che tutti sanno leggere e scrivere.
(Peter De Vries)

A proposito di: "L'hanno detto alla televisione".
La vera libertà di stampa è dire alla gente ciò che la gente non vorrebbe sentirsi dire. (George Orwell)

A proposito del rancore.
Perdonare è liberare un prigioniero e scoprire che quel prigioniero eri tu. (Sacre Scritture)

A proposito del consumismo.
Sarà sempre uno schiavo chi non sa vivere con poco.
(Orazio Flacco)

A proposito di vacanze.
Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.
(Marcel Proust)

A proposito della televisione.
Un tempo la gente era abbruttita dall’ignoranza, ora lo è dalla televisione, praticamente non è cambiato nulla.
(Carl William Brown)

sabato 23 aprile 2011

Tra il serio e il faceto

Ultimamente, quando cito il sottotitolo di “The Secret”, “La verità è dentro di TE”, mi fanno tutti la stessa battuta: “E come direbbe Quelo, ed è sbagliata!”.

Non si tratta di ammollare "facili" verità, amici miei. Dire che "la verità è dentro di noi" non è qualunquismo new age. Certo, la frase è semplicistica perché si tratta di uno slogan, ma è frutto di un lungo percorso che è, guarda caso, personale.
Fare dell'ironia sulla spiritualità è facile. Ridicolizzare chi ha convinzioni filosofiche “altre” è come rubare le caramelle ad un bambino. Discutere di teologia, filosofia e spiritualità è un po' più complesso. Bisogna avere le basi.
C'è chi sostiene, probabilmente a ragione, che la “new age” sia: “inconsistente, superficiale e che il pensiero positivo è una forma di autosuggestione inconcludente e priva di veri risultati. È la trasformazione commerciale e popolare del buddhismo zen e della culla orientale della civiltà. In poche parole, il pensiero positivo non è altro che l’ennesima sovrastruttura a una mente, la nostra, già confusa e condizionata.”
Esattamente (in parole più povere) come andare a messa per sentirsi in pace con la coscienza e con i vicini di casa.
Come molta gente rigetta la spiritualità per un materialismo ad oltranza, io rigetto il materialismo e cerco altro. Questo non vuol dire che mi faccio abbindolare dal cartomante, dal guru o dal prete di turno.
Non dobbiamo credere a quello che altri ci propinano per vero, perché niente è vero in un universo quantico come il nostro. Un fotone può essere particella o onda in base all'osservatore che perturba la realtà. L'unica grande verità è che la realtà è soggettiva. Soggettiva. Non ci credete? Perfetto. La vostra sarà una realtà oggettiva, indipendente da voi. In parole povere abituatevi all'idea di essere “vittime”. Mi direte: “Ma se ti metto sotto con la macchina vuoi vedere che sono reale e te crepi?”. Sì e no. La tua azione, quella di spalmarmi sull'asfalto, provoca una reazione nell'universo in cui tu sei l'osservatore.
Però, visto che professo il dubbio ad oltranza, cercherò di convincerti a non spalmarmi.
La verità, torno a dirlo, è dentro di noi. Anche se per adesso non l'abbiamo trovata.

venerdì 22 aprile 2011

"Predatori di anime" secondo episodio di The Secret è in edicola



Adam e la donna che amava, sono stati divisi dal crollo delle torri gemelle. Soul è morta mentre Adam ha iniziato a vivere una vita sbagliata. Forse anche per questo, tanti anni dopo, Soul è tornata dall'inferno, come se per lei non fosse passato un solo attimo. Inizia così il viaggio allucinante di Adam attraverso ricordi sepolti che solo Malcor, l'incredibile "dottore degli alieni", potrà risvegliare. Un incubo ad occhi aperti dove i folletti della tradizione inglese si confondono con i moderni rapitori alieni che affollano le notti di milioni di persone in tutto il mondo. L'uomo è davvero al vertice della piramide alimentare o è a sua volta l'inconsapevole nutrimento di spaventose creature?

Un episodio che racconta il passato dei nostri personaggi e inizia a svelare qualche mistero. Vero matador dell'episodio è il dottor Malcor, personaggio ispirato alla figura del ricercatore ufologico Corrado Malanga. Un episodio che tratta soprattutto il fenomeno dei rapimenti alieni ma che li confronta con il mito della tradizione celtica. Presto un approfondimento sull'argomento.

Ai pennelli, l'esordiente Rosario Raho. Vero talento di bravura e professionalità! Agli amici di Potenza, ricordo che potrete incontrarlo Giovedì 28 Aprile 2011 alle ore 17.30, presso la fumetteria COMICSTORE di Potenza.

Nulla accade per caso. Un cigno nero di carta e uno di piume



Saranno capitate anche a voi piccole "coincidenze significative". Quante volte ci imbattiamo in numeri ricorrenti, parole che si perseguitano. Quante volte leggiamo una parola che viene detta contemporaneamente dalla radio accesa? Quante volte pensiamo ad un vecchio amico e lui ci telefona?

Ecco, quello che ho scoperto in queste ore è davvero una coincidenza incredibilmente significativa. Come qualcuno di voi saprà, il primo episodio di "The Secret" ha iniziato ad essere distribuito dal 21 marzo. La data in cui è arrivato in fumetteria, dove è giunto prima delle edicole. Bene. Il 21 marzo, un cigno nero in carne, ossa e piume nere, è stato trovato a spasso sul grande raccordo anulare di Roma.
Qui trovate la notizia.
Ora... premesso che non si trattava di una iniziativa pubblicitaria, non mi resta che pensare ad un caso incredibile.



Se osserviamo a ritroso la nostra vita, vedremo quante di queste coincidenze significative si sono verificate per condurci dove siamo ora. Ogni relazione, ogni fatto, ogni evento sono strettamente interconnessi fra di loro e complici di un obiettivo elevato, che nella maggior parte dei casi ci sfugge.
Questa rete perfetta di relazioni è ciò che costituisce la Sincronicità.
La Sincronicità è un insieme di eventi, apparentemente sconnessi fra di loro, che accadono insieme e che sembrano all'apparenza soltanto delle coincidenze significative. Ad un occhio razionalista o semplicemente distratto, il susseguirsi della vita sembrerebbe un insieme di coincidenze casuali, cioè non aventi un nesso profondo fra loro.
Questo modo di considerare gli eventi quotidiani fu messo in discussione anche da Jung nel suo famoso libro "La Sincronicità". Nel testo, Jung, descrive il caso di una donna che aveva avuto in regalo in sogno, uno scarabeo d’oro Mentre questa raccontava il sogno al suo psicanalista, uno scarabeo vero sbattè alla finestra. Quale analisi statistica potrebbe spiegare un fenomeno del genere? Quante probabilità ci sono che uno scarabeo, che in genere è attirato dalla luce, venga attratto da un ambiente buio nel momento in cui si sta parlando del suo simbolo?



La sincronicità è il linguaggio di programmazione della nostra realtà, una realtà di cui percepiamo solo una microscopica parte, come un corpo umano nascosto sotto un lenzuolo.

A mio modesto parere siamo come su un treno. Ci siamo nati dentro e non abbiamo idea di come il treno sia fatto. Ogni tanto sentiamo sobbalzare il vagone agli scambi e non capiamo cosa provochi quel rumore. Solo "usciti dal treno" ci apparirà chiaro. Insomma, la vecchia storia della caverna di platoniana memoria.

giovedì 21 aprile 2011

Ora o mai più...



Cosa c'è di più misterioso degli occhi di uno sconosciuto?

Con questa piccola storia di Desdemona, disegnata dal bravo Luigi Criscuolo, e sceneggiata da Marisa Lo Zito, si apre una nuova incarnazione di Desdemona.
Una rinascita verso storie più intime, romantiche e private.
la potete leggere qui, su Verticalismi.
Ma leggetela, però. Ora o mai più.

martedì 19 aprile 2011

La favola di Occhiobovino

Oggi vi racconterò una favola, perché lo sanno anche i sassi, che le favole hanno vari livelli di lettura.
"C'era una volta, tanto tempo fa, Occhiobovino un simpatico ometto che da grande voleva fare lo sceneggiatore. Diceva di essere un importante scrittore di film americani, ma nell'ambiente italiano veniva apostrofato in modo poco lisinghiero. Occhiobovino aveva un personaggio nel cassetto, un personaggio innovativo, secondo lui, ma che tutti gli altri avevano già letto almeno quaranta anni prima. Occhiobovino, per darsi un tono, curava una piccola pubblicazione a fumetti e chiese a Febo, il nostro eroe, di rispondere ad una intervista e di lasciargli pubblicare qualche pagina della "Sonnambula". Febo accettò, ignaro che intanto, Occhiobovino, dall'ostentata morale cattolica e dalla sicura carriera politica, cercasse di mettersi nel mezzo alle vicende sentimentali del nostro Febo. Quando la Streghetta mise al corrente il compagno di quello che stava succedendo, Febo chiese spiegazioni, ma mentre Occhiobovino faceva l'amicone, continuava segretamente ad accoltellarlo alle spalle. Dopo il due di picche definitivo e il conseguente "fuori dalle palle", Occhiobovino sparì dalla vita dei nostri eroi. Con lui anche il suo innovativo personaggio e le sue folgoranti sceneggiature. La carriera politica e la morale, sfortunatamente per i suoi concittadini, sono ancora lì, ma nessuna delle due tocca più i nostri eroi. Morale della favola? Non c'è nessuna morale soprattutto in chi la ostenta accanitamente."
Intanto Febo spera in uno tzunami selettivo e, dopo tanto tempo, gli restituisce la canzone che allora gli dedicò Occhiobovino.

Se indichi la luna, l'idiota guarda il dito



Tavola a matita di Massimiliano Bergamo tratta da "L'avvento del quinto mondo" Episodio n° 4 di The Secret

Da quando è uscito "The Secret" ne ho sentite di tutti i colori. Mi aspettavo che "il gota del fumetto" mi prendesse a pomodori in faccia, ma così, almeno per adesso non è capitato, anzi ho avuto insperati giudizi positivi e incoraggiamenti vari.
Anche gli appassionati del genere ci hanno accolto a braccia aperte, addirittura in modo entusiastico. Questo era sinceramente più prevedibile.
Ma ci sono state comunque delle situazioni che mi hanno lasciato a bocca aperta.
Ufologi di fama nazionale che mi hanno contattato in privato per chiedermi "spiegazioni" sull'aver inserito nella storia riferimenti "ad una fazione avversa". Si sono lamentati adducendo motivazioni sociologiche per poi chiedermi di fargli fare una comparsatina nella serie o ispirarsi alle proprie teorie. A tutti questi dico che "The Secret" è indipendente.
Io scrivo quello che penso e come mi pare. Non prendo ordini da nessuno e non sposo supinamente nessuna teoria se non quello che condivido. Altri minchioni mi hanno chiesto se fossi massone o satanista, altri hanno sospettato che tutta l'operazione "The Secret" servisse solo a "sputtanare" certe ricerche. Altri si chiedono tutt'ora "chi c'è dietro" e se sono un debunker.
Ecco... così imparo a mettere il naso in certa roba. Di dietrologia è pieno “The Secret”, ma quando ti colpisce personalmente fa uno strano effetto.
Fortunatamente sono casi isolati.
Un'altra cosa che mi ha dato ai nervi è leggere accuse del tipo: "vogliono fare i soldi su queste cose!". Come se Saviano venisse accusato di aver fatto i soldi sulla Camorra, o Mario Tozzi di sfruttare l'ecologia.
Amici miei, fatevi ricoverare.
Dei 2,70 del prezzo di copertina, metà vanno al distributore/edicole e praticamente il resto va alla stampa. Evidentemente si crede ancora che chi scrive o lavora nell'editoria viva nel lusso. Tra gli scrittori italiani, il 99% lo fa come secondo lavoro, come hobby, mentre chi fa fumetti per editori piccoli guadagna meno della badante di vostra nonna. Comunque mi risulta che l'albo sia già "sul mulo". Quindi potete anche sbaffarvelo a gratis. La cosa come vedete non mi preoccupa. Continuate pure con questo atteggiamento e fruirete solo fumetti, libri, telefilm degli americani che odiate tanto.

giovedì 14 aprile 2011

Nuvoloni neri



Racconti di Carlo Lucarelli e sceneggiature di Mauro Smocovich, cari vecchi compagni di merende. Ai pennelli gente come Turini, Bonanno, Camoriano e Statella. Gente molto noir.
Lettura vivamente consigliata.



Peccato non poter essere della partita.

mercoledì 13 aprile 2011

Il bel cinema italiano

Ho scoperchiato il vaso di Pandora e ci ho trovato dentro Nek in versione fumettista innamorato.
Niente sarà mai più come prima.



Grazie a Mauro della segnalazione.

martedì 12 aprile 2011

Il simbolo di The Secret



Da qualche settimana è stato pubblicato il primo episodio di "The Secret", dal titolo "Il fattore cigno nero", ed è il caso di iniziare a svelare dei retroscena e qualche simbologia nascosta nella nostra serie a fumetti.



Partiamo dal simbolo della serie che ha riscosso talmente tanto successo che l'amico lettore Paolo se l'è addirittura tatuato, esattamente come Adam e Soul.



Ma cosa significa questo strano simbolo?



La vesica piscis, (vescica di pesce) è un simbolo a forma di mandorla ottenuto da due cerchi dello stesso raggio che si intersecano. L'intersezione dei due cerchi rappresenta la comunicazione fra due mondi, due dimensioni diverse, ovvero il piano materiale e quello spirituale, l'umano e il divino, il conscio e l'inconscio.
Appare anche chiara la somiglianza con questo ben più noto simbolo:



A Glastonbury, nel suggestivo giardino del Calice, questo simbolo è diventato il coperchio del pozzo dove Giuseppe di Arimatea avrebbe nascosto il santo Graal.



Il Chalice Well (Pozzo del Calice) è un luogo senza tempo, ricco di leggenda, simbolismo e atmosfera, un luogo che permette di rilassarsi meta di pellegrinaggi da sempre.
Il nome di questo luogo è collegato alle leggende cristiane e arturiane che proliferano a Glastonbury. Secondo la leggenda, Giuseppe di Arimatea, prozio di Gesù, avrebbe portato ad Avalon il Santo Graal, e lo avrebbe depositato sotto la collina sacra del Tor, da dove è scaturita una sorgente d'acqua particolarmente ferrosa e per questo collegata al sangue di Cristo.



Il coperchio del pozzo è fatto di quercia inglese, ed è sormontato da un simbolo in ferro battuto che ha proprio la forma della nostra Vesica Piscis.

Il Graal rappresenta la discendenza del divino, perché contiene il sangue di Cristo e simbolicamente sarebbbe stato nascosto prorio in un pozzo, simbolo del nostro inconscio, che viene raffigurato dalla vesica piscis, ovvero l'unione di spirito e corpo. Come dire che l'essere umano deve cercare dentro di sé la discendenza divina. Un luogo difficilmente frequentato da l'uomo troppo occupato a guardare fuori.

Ma torniamo al sibolo di The Secret. Come avrete notato è circondato da sedici strani fulmini. Bene, non sono fulmini, ma si tratta della runa "Sowild", Sole, che si associa al concetto di guida spirituale, all'autorealizzazione e alla connessione al Sé superiore. E' la folgore che scende dall'alto, l'illuminazione, il dono della consapevolezza. Questa runa è ripetuta sedici volte. Il sedici è un numero ambivalente, simboleggia le avversità, che possono essere benefiche quando portano ad un cambiamento costruttivo, mentre sono negative quando portano l’individuo alla caduta verso la distruzione. Combiamento, comunque. Ma sedici, per na numerologia, è anche 6 + 1, ovvero 7. Il sette esprime la globalità, per Platone era "l'anima mundi", la mediazione tra umano e divino. Ci risiamo.



In definitiva il simbolo di The Secret indica il cambiamento verso l'accettazione della presenza dello spirito nella materia.

lunedì 11 aprile 2011

Paura, eh?

Cosa avranno tramato questi tre loschi figuri in un ristorante della provincia emiliana?



Dormite molto preoccupati.

venerdì 8 aprile 2011

La loggia dei fumettari



"The Secret" è in edicola da diversi giorni e stiamo lavorando come pazzi per concludere i numeri successivi. Grazie a tutti i ragazzi per lo splendido lavoro che stanno facendo.
Il primo numero ha riscosso un insperato successo. Le uniche critiche che mi vengono mosse riguardano "la troppa carne al fuoco" presente sul primo numero. Qualcuno ha parlato di minestrone, ma da come è speziato potrebbe ricordare di più una paella o un cous cous. Meglio un piatto nutriente che una minestrina allungata.
Un'altra divertente critica è arrivata dall'establishment ufologico. "Perché alcuni personaggi del fumetto sono ispirati a personaggi reali?" E giù, critica per un noto ricercatore pisano.
Ho l'impressione che il risentimento per aver scelto una "fazione" venga dal fatto che non sono stati "loro" ad essere stati scelti. Nel mondo dell'ufologia i taliana c'è un individualismo mortale per la ricerca. Se gli italiani sono sei milioni di commissari tecnici, sono anche sei milioni di depositari della verità sugli extraterrestri.
Poi ci sono stati quelli che si sono chiesti se il fumetto non fosse uscito per "sputtanare" i movimenti sul complottismo, uno mi ha chiesto se ero massone e un altro se fossi satanista. In tanti si sono chiesti "chi c'è dietro l'operazione". Quale organizzazione occulta tira i fili del nostro "The Secret". Avete ragione, una organizzazione c'è.
Una congrega di incappucciati armati di pennarello, pennino e un paio di notebook. il loro rito principale è alzarsi la mattina e scrivere disegnare come matti fino a notte fonda.
Un vero sacrificio umano.

Attenzione Spoiler.

Tornando seri, un noto ricercatore mi ha contattato a proposito della trama del primo episodio, e mi ha scritto: "Una domanda: l'idea di persone che vengono uccise avendo come unica colpa il proprio nome, è inventata da te o l'hai presa da qualcuno? Se l'idea è tua è proprio la realtà."

PAURA, EH?

martedì 5 aprile 2011

"Amore, c'è un prete nel mio bagno!"

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In questi giorni pre pasquali siamo tutti in pericolo...
E' successo alla mia ragazza, ma potrebbe essere la punta dell'iceberg, un enorme iceberg di...