Firma per riportare L'Insonne in edicola! Bastano pochi click!

lunedì 7 ottobre 2013

Sulle indagini di mercato e sugli editori.

Qualche giorno fa, ho ricevuto questo commento a propostito di Davvero. Il post e il commento lo trovate QUI.
Visto che tocca argomenti interessanti e che meritano una risposta articolata (nei limiti del tempo di chi scrive e chi legge) ho voluto dedicargli un post.

Erich, scrive:
"Un editore, un editore serio per intenderci, prima di lanciarsi in una certa iniziativa, deve fare serie ricerche di mercato. Ovviamente, queste ricerche costano tanto, ma corrispondono anche ad un modo di agire professionale, con cui si tutelano innanzitutto i propri investimenti. (...)  L'editoria, per cortesia, lasciamola fare ai grandi editori, quelli che hanno i soldi e possono permettersi serie ricerche di mercato. Tutte queste centinaia di ridicoli microeditori e microdistributori dovrebbero togliere il disturbo. Formiche calpestate dai giganti."

Certamente, con una bella indagine di mercato, sarebbe tutto più semplice, ma il tuo ragionamento mi spaventa un po'.
In soldoni mi par di capire che suggerisci l'estinzione di quegli editori che non hanno valanghe di quattrini da investire in indagini e magari promozione, pubblicità etc etc etc.
Non trovi che questo progetto porterebbe al monopolio di pochissimi editori?
Non pensi che i piccoli editori che tanto disprezzi, abbiano dato, negli anni, la possibilità a tanti autori di fare gavetta e portare poi, alle major delle idee nuove?
In narrativa, da anni, funziona così: Pincopallino ha pubblicato un romanzo per un piccolo editore, uno che lo ha stampato semplicemente perché gli è piaciuto e l'ha colpito. Ad istinto. Poi quel libro ha funzionato e ne sono state vendute un bel numero di copie. Ecco che il grosso editore va a prendersi l'autore (o l'autore stesso si propone) e ne ripropone l'opera o un nuovo libro.
Aggiungo che oggi i grossi editori pubblicano autori nati sui blog, senza fare indagini di mercato. Certo, una indagine di mercato fatta da una realtà seria, penso alla Nielsen ad esempio (che faceva le indagini per i produttori di giocattoli per i quali lavoravo), sarebbe utilissima, ma poco praticabile anche dai grandi editori di fumetto. Non mi risulta che in Italia siano state fatte, ma non conosco tutti i casi e non mi esprimo.
Quando è nato Diabolik, l'unica indagine di mercato fatta dalle lungimiranti sorelle Giussani è stata quella di voler realizzare un prodotto che potesse essere letto dai pendolari, un fumetto di piccole dimensioni da leggere in piedi, nella calca di un metrò, nel tempo medio di una corsa.

Per quanto riguarda Davvero, serie realizzata ottimamente (almeno secondo il mio parere)  e che tornerei anche adesso a segnalare in Star Comics, forse, con dei miei suggerimenti diversi, avrebbe potuto avere una esistenza diversa.

Forse avrei potuto proporre di continuare la serie là dove si era interrotta in rete, magari inserendo un paio di episodi di riassunto, intorno al numero 4 o 5.
Mi è capitato, recentemente, che alcune persone mi abbiano detto “Ho preso solo il primo numero! La storia era la stessa e l'avevo già letta”.
Poi c'è la questione colore che valeva la pena di essere tentata. Ma qui c'erano delle limitazioni tecniche. La casa editrice può stampare a colori solo in un formato diverso dal bonelliano. Il punto è che il non bonelliano, in edicola, viene da sempre relegato in anfratti spesso irraggiungibile dai lettori. Oltretutto, realizzando la serie a colori avremmo avuto un punto di pareggio altissimo. Irraggiungibile anche per i più ottimisti.
Anche il titolo, innovativo, certamente particolare, ma potrebbe aver creato confusione negli edicolanti. Forse non bucava abbastanza.
E poi ci sono i disegni. I disegnatori della serie erano tutti molto bravi e ottimi professionisti, persone che amano la loro passione-lavoro in modo viscerale e che avranno in eterno la mia stima e riconoscenza, ma forse avremmo dovuto scegliere disegnatori diversi, meno cupi, meno realistici, proprio perché cercavamo di rivolgerci soprattutto al pubblico femminile, probabilmente abituato a immagini meno da fumetto tradizionale italiano. 
Forse.
Forse, ma dei sé e dei ma, son piene le fosse. 

Oltretutto ritengo che un editore non debba forzare un autore in scelte che non gli appartengono. Un editore deve accompagnare l'autore nella realizzazione del suo progetto, consigliarlo, certo, ma non stravolgergli l'idea. L'autore va rispettato e l'autore si prende le sue responsabilità. Pretendere la pubblica gogna o l'autoflagellazione, mi pare davvero troppo.

Erich, aggiunge:
"Avete progetti, idee? Proponeteli ai grandi editori." 
 
Dici che chi ha una idea deve proporla ad un grosso editore perché quelli piccoli non hanno i mezzi, ma questa mi appare una utopia e una contraddizione. Un grosso editore che progetta le proprie pubblicazioni attraverso precisi studi di mercato (sempre che esista), non accetterà una idea dall'esterno, ma vorrà costruirla, magari con i suoi autori di fiducia.
Da giovane incosciente, nel 1994, incontrai Sergio Bonelli e gli chiesi se avrebbe potuto leggere una mia proposta per una serie (si trattava de L'Insonne, naturalmente). Lui, nella sua saggezza mi disse che non poteva affidare una serie al primo che passava. Un autore doveva prima lavorare con lui per anni, dimostrare la propria bravura e poi avrebbe avuto l'opportunità di farsi valutare una proposta. Gli editori più piccoli, meno strutturati, invece danno (o meglio dire davano) questa opportunità che secondo il tuo ragionamento è una iattura.

Chissà cosa ne pensano i giovani autori che ci leggono.

6 commenti:

  1. Essendomi lanciata in un'auto produzione, non posso che trovarmi d'accordo con te, Giuseppe Di Bernardo. Secondo la mia esperienza, anche nel campo dell'illustrazione io ho spesso lavorato per illustratori-piccoli editori che molto spesso vendono i loro progetti a editori più grandi (nel mio caso quasi sempre francesi, a volte spagnoli o tedeschi)... quindi passare dal piccolo al grande è praticamente necessario

    RispondiElimina
  2. scusa Giuseppe, tu dai retta a queste persone?

    RispondiElimina
  3. Il principio "le buone idee datele agli editori danarosi" oltre ad avere i limiti esposti nel post del DiBe ha anche una ulteriore e non indifferente "falla". E cioè che ogni Editore ha una sua filosofia editoriale, quindi non è che la stessa idea puo' comunque avere patria ovunque. I piccoli editori non avranno il marketing ma hanno dalla loro, o avevano, la forza e l'impulso di voler battere anche strade diverse da quelle che, per motivi di pareggio di bilancio, richiedono di catturare una fetta di pubblico necessariamente ampia; e tutti noi appassionati, credo, dobbiamo comunque essere grati alle etichette editoriali che nel recente passato ci han provato.

    Marin

    RispondiElimina
  4. Caro Giuseppe, qualche giorno fa ho letto un interessante post, con un lungo seguito, sulla bacheca FB di G. Manfredi (Magico Vento, Volto nascosto, ecc.) nel qual si parlava di auto-promozione più che di auto-produzione, l'autore notava come spesso si spenda più tempo ad auto promuovere un proprio prodotto piuttosto che nella cura dello stesso, ipotizzando che, se c'è la qualità, alla fine possa camminare da solo, allo stesso modo si potrebbe supporre che, se si crea un qualcosa di valido, una propria strada editoriale la trovi e se vale possa arrivare al successo. Posso chiederti cosa ne pensi?
    grazie
    cari saluti
    Marco

    RispondiElimina
    Risposte
    1. In linea teorica, certamente.
      Poi, però, soprattutto se sei un giovane autore poco conosciuto, rischi che il tuo capolavoro ammuffisca prima che lo si noti ;)
      "in media stat virtus" dicevano i saggi ;)

      Elimina