Avete presente la faccenda del "DONO" che sta imperversando sui social?
Nella vita l'ho sentita molte volte e troppe volte l'ho professata.
Per capirla a pieno bisogna conoscere il retroterra, per certi versi,
"new age" in cui il concetto nasce. Sono ambienti che ho frequentato e
da cui mi sono un po' allontanato, forse a causa della disillusione e
del cinismo dell'età. E dalla pessima compagnia.
In certi ambienti
inclini al "pensiero magico", le difficoltà della vita sono dei "doni",
perché superando le difficoltà si cresce. Sono come scalini che
salendoli permettono di vedere il mondo che ci circonda un po' più
dall'alto e quindi più chiaramente. Sono dei confini, e i limiti sono
una buonissima cosa, perché quando si individuano si inizia già a
superarli.
Ok, fin qui tutto molto bello.
La faccenda si
complica di fronte a un problema di salute bello grosso. Un problema che
terrorizza come terrorizza la paura della morte. Per affrontarlo
bisogna indubbiamente far ricorso a tutte le proprie energie e
certamente anche ad una profonda fiducia nel domani. Lo spirito è utile,
fondamentale, ma non è abbastanza. L'ho visto con i miei occhi come
molti di voi. E no, purtroppo non basta. Anche ad Auschwitz c'era il
pensiero positivo: "Il lavoro rende liberi" recitava la scritta
sull'ingresso. Sapete come andava a finire.
Il pensiero positivo,
semplificato e proposto alle masse come un prodotto di banale consumo è
deresponsabilizzante e inutile. E' utile in un lungo percorso di
consapevolezza personale, e non può essere ceduto o insegnato. "Venduto"
come una semplicistica panacea è addirittura pericoloso.
Nessun commento:
Posta un commento